etre’ Le Désastre. L’Humanité ! ( Monochrome Block Circuits )’

(self-released/ 2003)

Le Desastre … è, per quanto ne so, il primo lavoro ufficiale per Salvatore Borrelli, musicista elettroacustico residente ed attivo nell’area partenopea. Devo premettere un fondamentale commento sulla difficile abitabilità di questa opera : la prima impressione, addentrandosi nelle strutture dense delle tracce, nei molteplici imperscrutabili livelli che le costituiscono, è quella di trovarsi in un angolo di giungla subtropicale impossibile da percorrere. Penso alle migliaia di aggregati informazionali, ai meme che compongono chi queste tracce le ha assemblate e suonate, l’intero di essi schiantato e costretto a convivere in questi lassi – e mi sembra semplice, posta questa considerazione, affiancarne un’altra che prevede questa giungla porsi di fronte ad un imperativo biologico di sopravvivenza, e compiere, come nei balzi che vedono le specie evincere lateralmente e saltare via di mille anni in appena un paio di generazioni, l’unica operazione possibile in questo senso.
Se siamo davvero davanti ad un simile episodio, resta da stabilire dove si trovi (etre), in questo lavoro : e c’è voluto qualche ascolto prima di capirlo.
Immagina di trovarti nel nord montagnoso della Cina, un migliaio di anni fa. Ti sei perso, e d’un tratto, quasi a ridosso della cima, trovi una capanna. Ti avvicini, la porta è aperta : dài una voce e nessuno risponde. Allora entri : la casa è quasi spoglia, c’è solo un basso tavolino, con una ciotola di riso, un piattino con del zazai tagliuzzato, una boccetta di salsa, un paio di bacchette. Davanti al tavolo, riverso a terra, esanime, c’è un vecchio. Ti avvicini, constati che è morto, noti la sua ultima espressione, pacata, quasi radiosa, le palpebre congiunte per sempre. E prendi le bacchette, le porti alla bocca : sulle prime, inconfondibilmente, stai succhiando un pezzo di legno, ma poi, facendo attenzione, senti arrivare alle papille miliardi di sapori, tutti così sottili, così difficilmente palpabili, una vita intera di pasti che ti sciama nella testa – ognuno affidato ad una flebile stilla, ognuno distinto, ogni pasto un sudore, una fatica, un sospiro, un piccolo piacere nella memoria dell’uomo riverso a terra, ogni grano di mais una ruga, un dolore, ogni ciotola d’acqua settanta passi fino al ruscello, ogni ombra di speziatura una schiena china a raccogliere erbe, polmoni riempiti da aria fredda.
Ecco, (etre) sta qui, nell’esatto istante in cui, dalle bacchette, le ombre dei sapori ti passano al cervello. Bisogna essere molto coraggiosi per addentrarsi in Le desastre…: nel suo inoccupabile caos digitale, questo disco rappresenta un’autobiografia, come verranno assemblate, forse, tra centinaia di anni ; e sta probabilmente ai mnemo-sollazzi di Strange Days come forse un hard disk di ultima generazione sta ad un fonografo. O è una faticata individuazione simondoniana, valida fino al punto che chiude di netto il capitolo, e lascia altre bianchissime pagine davanti.

Voto: 7

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Autore: mothra@inwind.it