John Mellencamp ‘Trouble No More’

(Columbia 2003)

Ritorna dopo l’entusiasmante “Cuttin’ Heads” l’indomabile artista dell’Indiana. Con il precedente lavoro Mellencamp era ritornato in parte ai suoni che lo avevano reso celebre negli anni ottanta, quando con “Scarecrow”(1985) e soprattutto il successivo “The Lonesome Jubelee”(1987) aveva rinnovato un certo modo di fare rock, contaminando il suo grintoso approccio chitarristico con strumenti derivanti dalla classica tradizionale folk, inventando di fatto un nuovo suono ad un “vecchio” genere.
“Trouble No More” è un’appassionata ricerca di quelle antiche radici che da sempre lo hanno ispirato, brani dalla tradizione blues a quella folk, dalla tradizione bianca a quella di colore, elementi sempre presenti nella sua musica, un’estenuante ricerca tra centinaia di canzoni dimenticate nel corso dei tempi, dodici brani rivestiti a nuovo mantenendo però l’essenzialità e l’immediatezza che caratterizzano gli originali. Per mantenere questa originaria purezza il disco è stato registrato in presa diretta in soli diciannove giorni, con microfoni e strumentazioni dell’epoca, dopo estenuanti prove dei vari brani. Il risultato è un suono scarno, compatto, “vero”, come pochi se ne sentono in giro. Una prova coraggiosa quella di Mr. Mellencamp, come la scelta di rendere disponibile in tempi di guerra sul suo sito (più di un mese prima della pubblicazione dell’album), la canzone conclusiva del nuovo lavoro To Washington (l’unica firmata a suo nome), un’amara descrizione dell’attuale situazione politica americana e mondiale, apertamente contro la guerra e soprattutto contro Bush. Brano che ha creato al nostro non pochi problemi; Mellencamp ha dichiarato “non è una canzone contro la guerra, ma una semplice descrizione dei fatti”…………Grande anche in questo……..
L’idea del disco nasce da “Stones In My Passway” di Robert Johnson, eseguita dal vivo lo scorso anno, resa nel disco in maniera scarna e diretta, una rivisitazione che è un piccolo capolavoro; la slide guitar di Andy York che duetta in maniera incredibile con la batteria di Dane Clark, serrata e compatta, condita dalla “nera” voce di Mellencamp, grintosa ed appassionata come ai vecchi tempi. Poi abbiamo “Death Letter” di Son House, il Woody Guthrie di Johnny Hart, essenziali nella loro limpida bellezza, la stupenda Baltimore Oriole di Hoagy Carmicheal, con un arrangiamento che ricorda il Tom Waits di “Rain Dogs”; c’è anche la ripresa di una moderna folk song della cantautrice texana Lucinda Wylliams, che dimostra il grande lavoro di ricerca, che trova un legame indissolubile tra il passato e il presente……
Non vorrei annoiare. Molti si sono avvicinati al passato, ma pochi con l’onestà e l’integrità artistica che Mellencamp dimostra in questo lavoro.
Da avere.

Voto: 8

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