Radiohead ‘Hail To The Thief’


(Capitol/2003)

Sono i Radiohead, la loro impronta, ormai, non possono togliersela di dosso, per fortuna.
Anche in questo ultimo album, atteso con ansia, resa un po’ frenetica da “Kid A” e “Amnesiac”, che hanno reso impaziente e fiducioso chi li ha amati e curioso chi non ne è rimasto soddisfatto. Come se avessero voluto accontentare entrambe le parti e prestando un’attenzione insolita verso il pubblico hanno partorito “Hail To The Thief”: un’opera riassuntiva, ma solo nella forma; si ritrova l’elettronica, ma non in ruolo da protagonista, degli assoli di chitarra con la solita, stupefacente, personalità di Greenwood, ma senza esagerare, le melodie semplici e del tutto orecchiabili.
La voce di Yorke perde ogni distorsione, ogni camuffamento e diventa chiara come non mai, perdendo la sua funzione di strumento, al pari di ogni altro. Ritmo, al solito, preciso come un orologio. Forse troppo. I brani hanno una velocità insolita, non solo perchè tutti non superano i canonici cinque minuti, ma hanno un respiro veloce, ristretto; il mistero di sottofondo presente in “Kid A” è lasciato alle spalle, i testi sono del tutto accessibili, per non parlare delle melodie dove le chitarre tornano regine indiscusse a dispetto dei suoni artificiali (i punti di forza sembrano stare proprio nelle ballate quali “Suck Young Blood“, “I Will“, “Scatterbrain” in cui musica e testi ricordano da vicino la vecchia disperazione radioheadiana, e nella degna conclusione che costituisce “A Wolf At The Door” presentate tutte quante in modo eccellente nei concerti del tour iberico).
“Accessibile” è proprio la parola che impaurisce, che in ogni caso è doveroso usare per descrivere questo lavoro, ma che in altri termini può essere sicuramente un punto di forza. Già con “Amnesiac” i nostri erano tornati all’antica pratica del videoclip e del singolo, dopo l’esperienza di Kid a, in cui si accontentarono dei piccoli ‘blips’ che sfuggivano su piccoli estratti di album, in questo ultimo lavoro la visibilità ritorna, gradatamente, ad essere un aspetto importante, tanto quanto il contenuto. Non molto tempo e ci troveremo There There alla radio e in discoteca, fino alla nausea. E non era forse quell’intimità di ascolto di Kid A e Amnesiac a renderli così sorprendenti?
In ogni caso è oggettivamente un altro lavoro ammirevole, sicuramente studiato e fatto di brani scelti con cura fra la cospicua produzione di un paio di anni in studio, ma forse una pausa di respiro per il mondo non avrebbe che giovato alla discografia della band oxfordiana e al suo pubblico.

Voto: 7

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