Carla Bruni ‘Quelq’un M’a Dit’

(Sk-Eye/BMG 2003)

Sì, avete indovinato.
Questa recensione si trova qui esattamente per provocare quella espressione tra lo stralunato e lo schifato che avete in questo momento.
Non è esatto.
Si trova qui per prendere finalmente le distanze in maniera divinamente snobistica da quel fondamentalismo underground supponente, a volte intellectual, altre volte ‘anima e core’, in ogni caso assolutamente deprimente che aleggia in molti sottoboschi italioti.
Quanti di voi d’altronde snobberanno a loro volta questo disco senza neanche avergli concesso ‘udienza’… ?
E quanti avranno davvero ragione nel dire che si hanno modi migliori per buttare la propria vita…?
Ahhh beata gioventù iperconsapevole con tremila cose eccitanti… cosa ci troverete mai nell’ espressione “siamo seri.. via!”…. mistero…
Il disco della soave bellezza del pret a porter in questione è invece una piccola sorpresa.
La cosa che lascia allibiti è soltanto una: che proprio di musica in senso stretto si tratti.
Niente giostrine house appiccicatele addosso da produttori cocainomani, niente immaginario orchestrato tra scosciature mozzafiato e suoni sintetici dal luccicante nulla anni ’90. Niente pretestuosità. Niente divertissement mondano. Niente di niente.
Soltanto delicatissimo e raffinato pop folk. Non sono così sconsiderato da credere alla sincerità dell’operazione, ma concedo tuttavia un sorriso alla top model torinese che dimostra almeno di essere interessata in prima persona presentandosi non nella dozzinale (e ingiustificata) veste di interprete, ma in quella di autrice. La Bruni scrive i brani e musica poesie scritte in tenera età con sobrietà ed eleganza. La lingua francese l’aiuta in questo, soprattutto nel conferire al prodotto una patina old fashioned che riporta alla mente icone pop come Francoise Hardy (anche i tratti somatici collaborano d’altronde) o Jane Brikin
Ma non troppo in fin dei conti. Alcuni brani hanno una spina dorsale abbastanza solida in fatto di songwriting: mi riferisco a Rapahel, alla Quelqu’un m’a dit in apertura o a Chanson Triste (sfiorando davvero toni melanco-Smiths-iani queste ultime). Altri invece si affidano purtroppo a canovacci già ipersfruttati dagli swinging sixties d’oltremanica incipriandoli con voce suadente e sensuale (vedi Le Toi du Moi o Jen Connais). Letteralmente stupefacente poi il fatto che sulla passerella dei brani non infastidisca neanche il passaggio de Le Ciel Dans Une Chambre di Paoliana memoria dove l’idioma italiano fa capolino con la simulata innocenza di qualche parolina fuori posto (molto artefatto, ma con stile impeccabile e delizioso).
Che dire di più?
Guardate quella copertina così minimale… è quello che l’ascolto del disco vi donerà: affascinante bellezza, una chitarra classica delicatamente suonata, dolci parole e… molta, carezzevole… intimità.
Peccato la Bruni abbia già deciso di smentire la grande affettuosa sensibilità verso gli ascoltatori dimostrata in quest’occasione promettendo purtroppo un seguito…. davvero un delitto nei confronti di uno squisito appuntamento inaspettato come questo.

Voto: 8

Link correlati: