Casa del Vento ‘Pane e Rose’

(Mescal/Sony 2002)

Tradizione e rivoluzione, amore per le radici e fiducia verso una possibilità di progresso del mondo verso condizioni d’esistenza migliori. Questa dicotomia fa da sfondo a quel filone, particolarmente prolifico nel nostro paese, solitamente etichettato come combat-folk. Le radici musicali di un popolo diventano lo strumento per la denuncia di tutte le ingiustizie sociali che lo stesso popolo subisce. Da questo presupposto prende forma anche la proposta musicale dei Casa del vento, che costruiscono il loro percorso artistico all’interno di questo movimento in cui il folk si sposa con un’attitudine rock e con testi rivolti all’impegno politico e alla denuncia sociale.
”Pane e rose” costituisce il terzo capitolo di un lungo cammino che, partendo da un primo cd autoprodotto (“Senza bandiera”), passa attraverso un’importante collaborazione nel 2001 con il cantante dei Modena City Ramblers in un cd a nome “Cisco e la Casa del vento”. E’ proprio dai più popolari Modena che bisogna partire per avere un’idea piuttosto chiara della proposta della band, tanto da poter definire i due gruppi come progetti musicalmente gemelli: allo stesso modo del gruppo modenese i Casa del vento attingono, infatti, a piene mani alla tradizione folk fondendo diverse culture, da quella irlandese a quella centroamericana e gitana, rivolgendo uno sguardo anche verso i più vicini balcani; tutte quante rimescolate e rivisitate con lo spirito dei canti di protesta italiani.
Nei tredici episodi del cd musiche dal sapore popolare diventano inni di protesta e grida di dolore verso tutto quel marcio che da sempre imbeve la realtà sociale che ci circonda: le atmosfere del folk irlandese, da quelle rarefatte e oniriche alla Chieftains (Pane e rose) alle frenesie ipnotiche dei Pogues (Genova chiama, Alla corte del re) si fondono con abilità ad influenze che odorano di cultura latino-americana (Treno per Galway, Indios del mondo), a melodie che ricordano un Goran Bregovic in vacanza nella pianura padana (Indios del mondo ancora e Terra nella terra), tutto quanto riletto da una sensibilità rock che continuamente ricorda il lavoro dei nostrani Gang (Hermanos, Hermano, Figli della montagna).
Naturalmente è inutile cercare accenni d’originalità in una musica che fonda il proprio percorso su un recupero quasi filologico delle radici musicali, dove la cultura popolare si fa espressione di una controcultura, e che vede nella lotta sociale la propria ragion d’essere.
I testi sono fortemente influenzati dall’adesione del gruppo alle tematiche del Forum sociale italiano (il cui movimento è strumentalmente definito No global dai media), per il quale hanno contribuito alla raccolta di fondi, partecipando al cd “Genova chiama” allegato al Manifesto: Genova chiama e La canzone di Carlo sono infatti due veri e propri inni per il movimento contro il processo di globalizzazione neoliberale. L’onestà e il fervore delle parole non salvano però le canzoni da toni troppo ingenui e demagogici, che tendono a semplificare i problemi sociali in una lotta manicheistica fra giusti e sfruttatori… Ha senso ancora rivolgersi alla lotta di classe quando l’unico desiderio degli sfruttati sembra essere quello di diventare come gli sfruttatori? E’ il re la bestia divoratrice o non piuttosto i sudditi che inneggiano e si prostrano al suo cospetto sperando di essere un giorno come lui? Il popolo ha ancora una coscienza o l’ha impegnata per un auto e un telefono nuovi?
Per appassionati.

Voto: 6

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Autore: krazy_kat72@yahoo.it