(Jestrai 2005)
Settimo disco per gli Ulan Bator -band d’origine francese ma ormai franco-italiana dal momento che Amaury Cambuzat, unico membro rimasto della formazione originale, vive da anni in Italia- a dieci anni di distanza dal loro esordio omonimo.
Dopo la svolta “pop” del precedente ‘Nouvel Air’, uscito dal gruppo l’ex Massimo Volume Egle Sommacal e quindi ritornati alla formazione a tre -Cambuzat alla chitarra e voce, Matteo Dainese alla batteria e Manuel Fabbro al basso- gli Ulan Bator in questa nuova prova recuperano lo spirito diretto e viscerale dei primi dischi.
I 9 pezzi qui presenti riportano l’anima più cupa ed inquieta del gruppo dividendosi fra momenti più tesi ed elettrici, con i “vecchi” flussi di chitarra dissonante e rumorosa a farla da padrone, e altri più dilatati in cui ora un violino (Tom Passion) ora uno xilofono (Torture) ora le delicatezze di un pianoforte (Souvenir) smorzano un pò la tensione.
In tutti aleggia comunque una atmosfera malinconica e cupa.
Si inizia con l’affascinante Fly, Candy Dragon, Fly!, cantata in inglese, in cui l’andamento circolare della chitarra viene squarciato da urla disperate; subito dopo ci sono gli intrecci di chitarra dissonante di God, Dog che colpisce soprattutto per il crescendo finale davvero intenso; i toni elegiaci e dilatati di Tom Passion, 33 e della bellissima Torture si rifanno a sonorità Post-Rock; nel flusso Noise-Rock di Instinct invece sembra quasi di sentire i Marlene Kuntz di Sonica. I due gioielli presenti nel disco comunque sono Pensees Massacre sorretta da una base percussiva secca ed ipnotica e La Femme Cannibale, bellissima nel suo incedere spezzato e convulso, che vede la partecipazione di Emidio Clementi, voce declamante che accompagna Cambuzat creando quasi un effetto di traduzione simultanea.
Un disco cupo e raffinato sorretto da una tensione drammatica che accompagna per tutti i 43 minuti di durata.
Il disco della maturità?
Voto: 8
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