(Warner Bros 1995)
Sono passati quasi dieci anni da quando Neil Young decise di fare un disco grunge. Il nostro caro amico ci aveva abituato alle sue “pazzie”, ma questa sembrava batterle proprio tutte. Unire uno dei mostri sacri del cantautorato con i Pearl Jam? A solo sentire tale affermazione i fan più “bacchettoni” già storcevano il naso e denigravano senza pietà. Dall’altra parte i grungisti duri e puri erano galvanizzati dall’uscita dell’album semplicemente perché leggevano il nome della band di Eddie Vedder (senza nemmeno sapere però chi fosse Young). Insomma una situazione non proprio rosea. Ma quando ora, ad anni di distanza, ci accingiamo ad ascoltare questo lavoro, non si può che restare incantati. Non solo dal suono veramente grunge, grezzo, sporco, un po’ come se i Nostri suonassero nel garage del vicino; ma anche e soprattutto dallo straordinario affiatamento tra le parti. Sembra quasi il disco della maturità di una band che ha passato anni a suonare insieme. Degno di nota il fatto che arrivati a un certo punto non ci accontenta più di suonare solo quel genere nuovo: si cerca di andare oltre, di amalgamarlo col country, di scoprirne le origini. Insomma il cantautore canadese lo risvolta come un calzino, cosa che solo pochissime band (Screaming Trees ad esempio) avevano fatto prima.
Il cd inizia con Song X e già dall’apertura della chitarra si può intuire il sound del tutto. Un bel ballatone, con la voce di Neil che (come un camaleonte) fa la sua figura anche in questo genere nuovo. Trascinante. Segue Act Of Love e il ritmo si irrobustisce e l’esperienza di Young si fa sentire. Consiglio di prestare attenzione alle sfumature chitarristiche del pezzo. Poi arriva una delle canzoni più belle dell’album, I’m The Ocean. Emozionante, lunga, piena di sfaccettature (questa volta, oltre che musicali, anche vocali), Neil canta tutta la malinconia di una generazione accompagnato da una musica intensa, continua, precisa come una ghigliottina. A un certo punto vi sembrerà un peccato che sia già finità. Big Green Country sembra provenire da un disco dei Pearl Jam, almeno fino al ritornello profondamente youngiano. Continua il nostro viaggio con Truth Be Know, un’interessante fusione tra giunge e country, una ballata che aumenta il valore stilistico dell’album.
Downtown con quel suo riff è molto anni ’70. Insomma, mentre nel pezzo prima il suono della Generazione X si fondeva con le ballate country, qui si fonde con lo stile di gente come AC/DC ecc. Un’altra affascinante dimostrazione di come, se non ci fosse stato l’hard-rock, gli anni 90 sarebbero stati ben diversi. Una lezione di storia musicale, dunque. Cambio totale di atmosfera con What Happened Yesterday con il suo organo a pompa e la lieve voce di Neil a costruire un breve intermezzo. Si riattaca subito con Peace And Love, altro connubio tra Nashville e Seattle. Ed ecco un altro pezzo forte dell’album: Throw Your Heatred Down, con il suo incedere minaccioso e attraente. Stilisticamente è una I’m The Ocean con ritornello, ma più intensa. Da elogiare le chiatarre, sempre pronte al momento giusto a fare da letto alla voce di Neil Young. Ma ci sono più gruppi che suonano così? Si, ma sono una rarità. Scenery è ben fatta, ma a mio parere un po’ troppo lunga. Alla fine si rischia la noia. Il grunge non può reggere tali manipolazioni. Risultato: un brano minore. Si conclude il tutto con Fallen Angel, con l’organo e note di piano a sostenere quella voce fragile. C’è un sound quasi sacro in questo breve pezzo corale, come se con queste note finisse il funerale di un genere che è stato troppo strumentalizzato. E infatti sarà così.
Conclusione: ‘Mirror Ball’ è il requiem del grunge. Suonato e prodotto (Brendan O’Brien) perfettamente, è affascinante anche nel libretto cartonato (davvero vintage). Neil Young ha dimostrato di poter fare proprio ogni genere musicale. Non solo, ma qui ha persino sperimentato su di esso, cercandone le origine e manipolandolo verso ogni direzione possibile.
E se questa non è genialità…..
Voto: 10
Link correlati: