Revolutionary Ensemble ‘Beyond The Boundary Of Time’


(Mutable Music 2008)

Inizia il basso di Sirone, borbottando un’introduzione fatta di frammenti di materia sonora che sembrano prendere vita ad ogni accento, trasformandosi da cristalli di pizzicato ad improvvisi squarci di nervose arcate, solenni e veloci. È l’ultimo disco del leggendario trio composto, oltre che dal succitato Norris Jones, dal compianto Leroy Jenkins (per chi non lo sapesse, il massimo innovatore del linguaggio violinistico in ambito jazzistico, scomparso due anni or sono, cui il disco è dedicato) e dal batterista Jerome Cooper (qui dedito anche al balaphone e ad un’elettronica discreta). Si tratta di un live registrato a Varsavia il 25 maggio del 2005, l’ultimo prima della dipartita del grande violinista. Quando dopo una manciata di minuti scendono nell’agone gli altri due strumentisti, come per magia si ricrea immediatamente il mood dei bei tempi andati, quando questi grandi maestri della musica improvvisata statunitense fissavano sul loro primo microsolco della ESP il manifesto del loro credo musicale. Ma, non potrebbe essere altrimenti, i frutti germogliati da quei semi hanno oggi un gusto nuovo, per nulla datato o scontato. Le cinque improvvisazioni, Configuration, Usami, Le-Si-Jer, Improvisation I, Improvisation II , si snodano con indicibile naturalezza e logica, pur riservando soluzioni sorprendenti e di enorme fascino: è il caso, in particolare, di Le-Si-Jer (acronimo dei nomi di battesimo dei tre protagonisti e vero cuore del disco, di quasi 20 minuti di durata), che si muove da una splendida sortita in solitaria di Jenkins, appena filtrato da riverberi elettronici, sorretto dopo poco da Cooper alla tastiera elettronica, lasciando poi la piazza a Sirone che giganteggia con un assolo con l’arco; i due legni si intrecciano, finché si insinua una frase melodica di tastiera dall’andamento ascendente/discendente, minimale, riaccennata da Sirone al basso in un monologo percussivo e suggestivo. In questo brano i suoni possibili per il trio, in quest’occasione, ci sono tutti: Cooper vi appare infatti anche con il balaphon (xilofono africano in legno), il chiramia (uno strumento a fiato ad ancia doppia), a disegnare un fascinoso arabesco portato poi a conclusione dalla tastiera che riprende a salmodiare il mantra minimalista. Notevoli anche le due improvvisazioni senza titolo, dove affiora qua e là un’attitudine ritmica più “regolare” a pulsare sotto il solito granitico basso ed un furioso violino, geniale, talora aggressivo ed a tratti devastante.
Cinque stelle, permettetemi, ed altre cinque alla memoria di Leroy Jenkins.

Voto: 10

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Autore: belgravius@inwind.it