Lorenzo Monni ‘Debris’

(Autoprodotto 2008)

Lorenzo Monni è, da quanto risulta dalla biografia, una sorta di enfant prodige. All’età di 23 anni arriva già alla seconda prova sulla lunga distanza, dopo “Death Of A Future Man” del 2007, con un lavoro (che potete scaricare gratuitamente dal sito ufficiale del ragazzo, trovate il link in coda alla recensione) dalla notevole complessità e dalle mille sfaccettature. Progressive, kraut, musica classica e molto altro si mescolano nel disco del cagliaritano, creando un percorso di non semplice accessibilità.

Apre il disco il turpe contrabbasso di Embrace, un componimento arioso e potentemente oscuro, che richiama atmosfere quasi ligetiane. Un tocco di carillon schiude invece Ciel Brouille, nella quale il nostro campiona addirittura la voce di Gaber in Polli d’Allevamento, Situazione Donna, accelerando il ritmo e trasfigurandosi in una sinistra nenia psichedelica e acida con finale ambientale. Percussioni afro ci accolgono in I Met The Craftsmen e accompagnano tutto il componimento, tra sibili lontani e un basso ossessivo che ci riporta in territori canterburiani. The Big Laugh si apre come un sottilissimo alito elettronico, ispessendosi pian piano tra tocchi cristallini e pennellate di piano che danno un senso di spaesamento claustrofobico: un incubo incombente, da horror anni ’70, che affoga in un loop liquido e mutante. The Dawn Of The Young Dolls è un componimento chitarristico barocco, come se Bach si fosse messo in testa di scrivere qualcosa per chitarra elettrica; ma a metà tutto va alla deriva, in un gorgoglio instabile e frastornante. Naked Dialogues non è niente di più che un virtuosismo chitarristico, mentre Mont Saint – Michel torna alla solenne orchestralità della traccia d’apertura, pomposa e magniloquente in apertura, per poi frantumarsi nel cupo campionamento di un coro di un monastero benedettino, tra fiati glaciali e droni elettronici ossessionanti. Shapeless è un vagito dark – ambientale teso e sbiadito al tempo stesso. Dislove è hard – rock ingurgitato dal kraut più nero e apocalittico. Si giunge quindi a Rhom Antic, instabile e destabilizzante girotondo elettronico che allega spintonate rockeggianti in un grigiore inesprimibile. Il lungo percorso del Monni si chiude con Gone, lunga deriva ambientale tra echi lirici appena accennati.

Un disco maestosamente criptico, debordante come una valanga di pece nera che travolge e sconvolge. Un lavoro dal sapore antico ma tremendamente moderno, che spinge in mille direzioni regalando infinite chiavi di lettura. Pur con qualche sbavatura, un album che ci fa gridare al miracolo: ma se a 23 anni questo ragazzo riesce già ad emozionarci così, cosa potrà fare crescendo? Speriamo non perda la strada che ha già imboccato proficuamente.

Voto: 8

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