Chicago Underground Duo ‘In Praise Of Shadows’

(Thrill Jockey/Wide 2006)

Ombre che discorrono nel silenzio.

Ombre che tracciano i confini di un rituale incantatorio eppure concreto, materiale, umano.

Rob Mazurek (cornetta e molto altro) e Chad Taylor (batteria e molto altro) formano il Chicago Underground Duo, nucleo base di più ampi ensembles cui collaborano alcuni tra i musicisti più rappresentativi dell’odierna scena avant-jazz di Chicago: Jeff Parker, Jim Baker, Nicole Mitchell, Ken Vandemark, Active Ingredients ecc.

“In Praise Of Shadows” è il quarto album in nove anni ed è conferma ulteriore della peculiare capacità dei due protagonisti di configurare un ascolto inteso come profonda fascinazione/contemplazione mai fine a se stessa.

La loro è un’attitudine democratica al suono, che concepisce al contempo aperture liriche e astratte movenze, tortuosi itinerari e infantili melodie: una poetica della ‘divagazione necessaria’, dell’investigazione minuta, circolare, alla ricerca di un sound essenziale e comunicativo oltre i generi, oltre le categorie.

La ‘titletrack’ riassume perfettamente questa concezione: da un’inizio dialogico/gestuale memore- come non ricordarlo per l’ennesima volta!- dell’insegnamento di Don Cherry ed Ed Blackwell nonché di Bill Dixon e Tony Oxley, si snodano ostinati melodici e ritmici di cristallina dolcezza (un minimalismo povero, bambinesco) o scortese rudezza, punteggiati dagli interventi di Mazurek che si propone, sempre incisivo, anche al pianoforte: la sua cornetta, terragna ed eterea allo stesso tempo, farfuglia, biascica o fa risuonare lunghe note con la sordina, mentre Taylor tesse tutt’intorno trame percussive ora tenui ora più marcate: davvero notevole!.

Per contro, non convincono del tutto l’eufonica Africa post-minimal di The Glass House, fin troppo dilatata nei suoi nove minuti di durata, e Pangea, traccia pervasa da un’elettronica ‘kosmische’ dalla grana non proprio sottile.

Altrove è l’incantesimo di sempre: nell’incedere processionale di Falling Awake (come non pensare al Wadada Leo Smith dell’indimenticabile ‘Divine Love’, 1979!); nel solare, laconico Funeral Of Dreams o nell’ipnotica Cities without Citadels giù giù fino al conclusivo The Light In Between, un serrato contrappunto di timbri e colori che non vuole rappresentare di certo una fine ma piuttosto un nuovo, ‘eterno’ inizio.

Voto: 8

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