Cyne ‘Evolution Fight’

(City Centre Offices / Baked Goods / Wide 2005)

Mi ci sono voluti cinque minuti per riprendermi dallo stupore non appena inserito il cd nello stereo.
Lo spiazzamento è di quelli che lasciano a bocca aperta, mentre con la copertina in mano rileggo per essere sicuro di non sbagliarmi. Si, c’è scritto proprio City Centre Offices e ciò che vien fuori dalla casse è proprio hip-hop. Semplice, puro hip-hop.
Adesso resta solo da capire perché l’etichetta di Berlino abbia deciso di aprire anche a questo genere.

I Cyne sono quattro ragazzi di base a Miami (Speck, Enoch, Akin e Cise Star) che dopo l’esordio sulla piccola label Botanica Del Jibaro (divisione hip-hop della ultra-politicizzata Beta Bordega) decidono di spostare l’interesse ed hanno la possibilità di aprirsi al pubblico europeo.
Possibilità, possiamo ora dirlo, sfruttata appieno, con coscienza delle proprie azioni e senza abbandonare per nulla i toni impegnati (Fuck America parla da se) che hanno caratterizzato il primo lavoro.

Evolution Figh e Haze scorrono lisce come l’olio grazie a grooves di basso compressi e potenti, drums che approfittano di improvvise aperture jazz, melodie degne delle miglior produzioni mainstream. In Rousseau la base si fa più soft, venature soul quasi old style mentre le rime al contrario diventano sempre più accese (“every time I see the cops they make me lift my hands so they can pat me down, and I just don’t see how I play by they rules but they still treat me foul”) sino ad arrivare alla già citata Fuck America, in cui la superpotenza è accusata senza mezzi termini di vendersi al petrolio. Ce ne sarebbero di potenziali hit per lanciare il gruppo verso una visibilità, e soprattutto una considerazione, ben maggiore di quella di cui ancora godono. Fino alla decima traccia, Arrows of God, i nostri non sbagliano un colpo, una sequenza musicalmente ineccepibile (e i testi sono molto oltre l’expicit lyrics a cui si è abituati, usati per rivendicazioni sociali e non per prendere in giro i vicini di casa) che viene interrotta solo dall’ultima parte del disco, un po’ piatta e meno “arrabbiata” rispetto allo standard infuocato che li ha introdotti.

Rimane un disco ancora troppo underground, roba che arriverà a malapena nelle casse dei fan(atics) ben informati, mentre la stragrande maggioranza dei consumatori del genere continuerà a sorbirsi le rime dei soliti quattro personaggi che giocano a fare i cattivi e, nel farlo, si prendono fin troppo sul serio. Dovremmo dire purtroppo? o la consolazione che esista ancora un gruppo con qualcosa da dire in un territorio, il rap, (che fu) di denuncia è una buona consolazione?

Voto: 9

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