Zhang Yimou ‘Hero’

Avete presente il videogioco Mortal Kombat? Beh, vedendo questo film non ci siamo così lontani.

 

 

 

 

 

 

 

Di Lucio Carbonelli

lucio.carbonelli@aliceposta.it

È come un videogioco… questa volta è proprio il caso di dirlo, ribaltare il luogo comune che ci porta a trasformare la realtà in film e dire, qui e adesso, che questo film sembra proprio un videogioco, visivamente bellissimo certo, ma freddo, digitale, quasi monotono e dopo un po’ noioso… proprio come certi videogiochi appunto.
La parola chiave qui è “reiterazione” e non la scriviamo solo per far vedere che conosciamo parole difficili, ma perché è quanto mai adatta alla materia di questo film: reiterazione o ripetizione, che dir si voglia.
In questo film troviamo una serie di combattimenti ripetuti da diverse angolazioni, cinematografiche e non: quattro personaggi principali con il proprio personale sapere di mosse segrete (ancora un richiamo al mondo dei videogiochi…) che si combattono non una, ma più volte nello spazio/tempo dello stesso film… reiterazione, monotonia.
I combattimenti si ripetono perché vengono raccontati da diversi punti di vista: il primo a raccontare è l’Eroe/Assassino (l’Hero senza nome del titolo), poi ci sarà il Re/Tiranno a scoprire la bugia e a svelare le storie, così come sono andate veramente.
L’eroe ci racconta di come ha ucciso i più acerrimi nemici del re, i loro nomi sono Cielo, Spada Spezzata, Neve che cade: ed ecco quindi tutto un delirio inverosimile di duelli volanti e un profluvio abbagliante di colori… ma tutto questo basta?
L’eroe lo ha fatto per salvare la vita al re, così dice.
Poi viene il turno del re.
Il re racconta la storia dal suo punto di vista, i personaggi sono ancora gli stessi, l’eroe senza nome, Cielo, Spada Spezzata, Neve che cade: ancora un delirio, ancora un profluvio… ma tutto questo basta?
Il re dice che l’eroe ha fatto tutto questo per arrivargli quanto più vicino per ucciderlo.
Alla fine questo film si riduce a una serie di spettacolari combattimenti tra esperti di arti marziali (ognuno con le sue mosse speciali, ognuno con le sue armi segrete) virati di volta in volta in un colore diverso… le dominanti cromatiche: grigio, blu, rosso, verde, giallo, bianco.
Avete presente il videogioco Mortal Kombat? Beh, vedendo questo film non ci siamo così lontani.
La storia c’è pure, insieme di fatti storici e leggenda, ma è minima: una serie di intermezzi esplicativi tra un combattimento e l’altro e basta, proprio -e torniamo ancora lì- come accade nei videogiochi.
Per non parlare della (supposta) morale del film: la necessità di un Tiranno unificatore affinché possa regnare la pace sotto un unico cielo… cosa,  seppur per certi versi giusta, sicuramente agghiacciante coi tempi che corrono.
L’unico pensiero veramente affascinante del film è quello che paragona la calligrafia all’arte della spada, pensiero che sembra comunque contraddire tutto l’impianto del film a dire la verità, e poi, certo ripetiamolo, il film resta strepitoso dal punto di vista visivo… ma, ce lo chiediamo ancora una volta, tutto questo può bastare?
Al signor Tarantino, supremo sponsor del film che nei promo (e non solo) ha addirittura oscurato il povero (eppur famoso!) regista Zhang Yimou, ci piace rispondere, per una volta tanto, di no.