Campag Velocet ‘It’ s Beyond Our Control’

(Pointy 2004)

In principio fu un annichilente debutto a 45 giri su Fierce Panda. Poi arrivò la solita bagarre per annettere uno dei nomi più caldi del 1997, l’accasamento su PIAS e quel Bon Chic Bon Genre che fu perfetto nel tracimare materie (non solo) rock da ogni solco; album tra i più intelligenti e onnivori di un parco limbo post brit, quel BCBG, dove si mordevano brandelli house, si strappavano muscoli hard e sensi black. Un disco in cui Pete Voss e compagni mescolavano (anticipando e superando a zig zag di quasi un lustro Rapture e discotecari assortiti) P.I.L., Stone Roses, ritmiche hip hop, chitarre oblunghe e p/funk amniotico dimostrando profonda conoscenza, tecnica sopraffina e gran tiro. Rimase caso isolato e fummo lesti ad incasellare Campag Velocet nel lungo elenco delle promesse incompiute. Oggi, rescisso il contratto con la PIAS e dopo due anni sabbatici il capitolo delle biciclette Campagnolo invece si riapre alla grande…Dapprima timide avvisaglie (il white label remix di Who Are The Trumping Men?), poi rumori di un’eventuale firma per Pointy, riaccesero l’interesse quel tanto che bastava per stilare breve intervista anche su queste frequenze web. E, finalmente…eccolo. It’s Beyond Our Control riprende esattamente laddove Bon Chic Bon Genre finiva, percuotendo generi musicali filtrati attraverso l’eterogenea ottica del gruppo. Come se James Brown, gli MC5 e Erik B. & Rakim venissero deflorati in un’orgia post punk. Prodotto da Brian O’ Shaughnessy (uno degli uomini dietro le manopole di Screamadelica) l’album snocciola 12 brani dove la parola contaminazione assume nuovi e peculiari significati. Lo si avverte da subito in Instict Tension, un hip hop metallico e lugubre (DFA ucciderebbe per simile groove) in perfetto CV style. E poi si itera con la psicosi chitarristica di Motown Clic…, apoteosi di chitarre Banshees (s’avverte l’intrigante spirito della buonanima di John McGeogh) in abiti Joy Division e cappelli funk con la particolarissima voce di Voss ad ergersi beffarda e sguaiata. O ancora il citato Who Are The Trumping Men?, apice di punk funk tagliente (Rapture, ci siete?) dove il sax dello storico Ted Milton (Blurt, ca va sans dire) insegna due o tre cosine a tutti i newyorchesi oggidì così à la page, strizzando pure l’occhio a certi Gang Of Four. E ancora Vindictive Disco (prossimo singolo), quasi un out-take simil-house dal Metal Box; o Metro Boulot Dodo e la sua originalità incrociata tra i primi Dead Or Alive (quelli di The Stranger) e spezie psicotrope Royksopp; il geniale sibilare di Stranded By The Reebox, ovvero disintegrare i Placebo in 4’10” citando contemporaneamente l’energia ritmica Banshees e i nervi scoperti Clock DVA; la jazzeria house gelida di Sunset Strip Eclipse (come mandare Santana affanculo? Così.), l’improbabile Madchester dub di Obsessed With Gloom e una chiusura di oscuri drones new wave in Ain’t No Funki Tangerine a srotolare basi trance e presagi sinfonici frullati nel gotico. Qualche caduta di tono la si avverte soltanto nel metallo stralunato di Me And A Foe, ma ciò non inficia minimamente uno dei lavori più intensi di questo – vieppiù parco – 2004. Piacerà a pochi It’s Beyond Our Control, e proprio per la sua manifesta incapacità genetica di abbracciare un solo monolite sonoro o una moda già morta. NME sputerà veleno e si farà le pippe sulla prossima nevralgia dei Coldplay. Campag Velocet invece oggi vaga in un limbo dove Wire, Public Enemy e la Detroit più lurida fissano coordinate spazio-temporali. Space Is The Place fratelli, e se gli Oukast avessero Colin Newman in formazione e Adi Newton in cabina di regìa probabilmente suonerebbero così. Ventanni prima. O dopo. Imprendibili Campag Velocet, anche con i rapporti da montagna. They’re Beyond Our Control.

Voto: 10

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