Black Heart Procession + Solbakken ‘In the Fishtank 11’

(Konkurrent/Wide 2004)

L’iniziativa della danese Konkurrent di creare contesti interattivi per bands dalla sensibilità musicale affine si rivela, almeno a giudicare dai risultati, come una delle poche davvero interessate ai contenuti (leggi banalmente ‘musica’) più che alla fomentazione di feticismi completisti nei confronti di questo o quell’artista. La serie “In the Fishtank” si arricchisce infatti del nuovo strepitoso (sì, l’ho detto) capitolo undici che riesce anche in questo caso a mettere a nudo le proprietà intrinseche dei reagenti sonori coinvolti nell’esperimento. Due soli giorni in studio per il combo di San Diego di Pall A. Jenkins e per il trio della squadra di casa a nome Solbakken ed eccoci servita una vera ‘prova d’artista’, toccante tanto quanto raffinata ed elegante dal punto di vista compositivo. I sei brani contenuti in questo disco (tutti all’impronta delle sonorità più notturne e tenebrose che si aggirano da sempre in certi territori indie) sono oggetti da contemplare con mistico rapimento e mesta empatia emozionale. A partire dalla struggente traversata francofona di Voiture En Rouge (provate a immaginare un brano degli Woven Hand con incursioni del cantato di Jane Birkin) via via lungo la cadenzata spettralità delle parti pianistiche di Dog Song (si sta evocando il fantasma di Bill Callahan?), l’oscuro lamento dalle tinte gotiche di Nervous Persian (più riconoscibilmente dark oriented al limite della sacralità di certi Dead Can Dance), lo stravolto, incalzante, ritmico cantilenante neocountry di A Taste of You and Me, il tribalismo spirituale di Things Go On with Mistakes (jam psichedelica in grazia di dio in più un momento) fino a quella conclusiva Your Cave, malinconica ballad (?) intessuta di un lirismo tormentato e straziante capace di inchiodarvi l’animo ai diffusori. Un itinerario che solo riduttivamente può essere definito davvero splendido.
Rincresce davvero in casi come questo la consapevolezza che esperimenti di questo tipo vengono di solito mentalmente relegati nel campo dell’estemporaneo. Dischi come questo meriterebbero infatti di figurare a pieno titolo nelle rispettive discografie delle due bands, ma per forza di cose guadagneranno tutt’al più una citazione a margine….
Ma per coloro che li hanno potuti apprezzare… in fondo forse è meglio immaginarli proprio così: doni acustico-emozionali appartenenti ad una terra di nessuno unica e irripetibile. E’ proprio a voi che ho parlato finora… You know who you are.

Voto: 9

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