Applecraft ‘The Happiest Man Alive’

(Ochre 2003)

Bellissimo.
Un album di straniato/nte ‘space folk’, ‘minimal wave’, ‘indietronic’, ‘post pop’ (chiamatelo come volete) come questo meriterebbe lodi ben maggiori di quelle che sarò in grado di conferirgli nelle prossime righe, quindi meglio mettersi l’anima in pace e far sembrare il tutto come una normale recensione.
Insieme ai fidi Don Mandarin e Jonny Mattock (Lupine Howl e ex-Spiritualized) Mike Mooney, per anni chitarrista nella band di Julian Cope riesce in questo secondo full-length a nome Applecraft (dopo l’acclamato “The Shining City on the Hill”) in un’operazione quasi incredibile: scrivere brani che sembrano apportare nuova linfa a tutta la miriade di discorsi musicali intrapresi negli ultimi quattro decenni musicali in ambito psichedelico.
Oltre alle atmosfere che furono del suo compagno di avventure, nel disco trovate infatti davvero di tutto: dai Beatles di “Stg Pepper” sparati nel futuro ai Pink Floyd maciullati in un tritasuoni insieme a Jethro Tull disciolti e geneticamente ricombinati con il dna di Kevin Ayers (o Kevin Coyne o addirittura Kevin Shields se preferite). Troppo bello abbandonarsi agli echi ‘progressive pop’ di G. Kings Awakening, alla dolce sospensione emotiva di Anny, agli echi dei riammodernamenti dei The The di Matt Johnson in Wigan Forever, alle divagazioni popedelicamente levigate dei Mansun di Summer Marches, passando per l’allucinato mondo Ozric-iano di Asthma condito di new wave metronomica fino alle incursioni elettroniche di Contact High che con i suoi ammiccamenti di chitarra soul-sintetica sconfinano quasi nei territori di uno Ian Brown. The Benefactor ha la voce (e forse qualcosa in più) di David Bowie, The Green Green Gown sembra Syd Barrett mischiato con gli Air, per non parlare dell’iniziale Always in my House, degna dei migliori lavori di Bert Jansch o della Incredible String Band
Insomma, potrei andare avanti all’infinito ma il ‘gioco di rimandi-puzzle-infinitamente-cangiante’ finirebbe per divertire più me che mi prodigo a tracciarlo, di quanto voi a seguirne i percorsi leggendolo. Vi basti sapere che ogni brano-quilt suona ‘insolito’ al punto da dare l’impressione di non avere rivali nel genere di turno con cui sembra confrontarsi di volta in volta.
E che se rinunciate a dischi come questo allora finisco per non capire davvero più se abbia senso continuare a consigliarvi ascolti…

Voto: 8

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