Kech ‘Are You Safe?’

(Ouzel/Under My Bed 2003)

E chi l’avrebbe mai detto… che dopo migliaia di ascolti, molti dei quali spesi qualche anno addietro nell’appassionata ricerca di un album nostrano che sapesse emulare le ‘gesta eroiche’ dispensate (in formato vinile all’epoca) al di qua e al di là dell’atlantico da gente come Eddie Watkins, Thurston Moore, Adam Franklin o Tanya Donnelly, la ‘risposta’ sarebbe arrivata soltanto nel 2003. Insomma, proprio quando le speranze di sorpresa da determinato sound uno le considerava in un certo senso accantonate, esce per la Ouzel Records una piccola meraviglia indie come “Are You Safe?” a nome Kech. La band viene da Monza , ha alle spalle la pubblicazione dell’Ep “A Lovely Place” (qui incluso insieme a cinque nuovi brani), qualche sparuta apparizione su compilations e una collezione di live set di tutto rispetto (per qualcuno grazie a dio significheranno qualcosa nomi come Onq o The Fog In The Shell, per gli altri conteranno di più questi altri: I Am Kloot, El Guapo, Devics).
Con l’uscita di questo full lenght la band ha oggi qualcosa in più: la riconferma di un sincero estimatore nella figura di chi scrive. Sì perché il livello del disco in questione è davvero eccellente. I circa trentadue minuti dell’album dei Kech non concedono distrazioni né scivolano in alcuna caduta di tono: la miscela di indie pop che fuoriesce dai diffusori è perfetta nel suo transdecennale altalenare tra le energiche impennate rock alla Sleater Kinney di A Lovely Place e le agrodolci rilassatezze stile Bettie Serveert della successiva Feet Bleed, tra le dolci e inaspettate sferzate di Throwing Muses che scaturiscono da Queen Mum e la freschezza retrò – quando la ascolterete non vi apparirà come un ossimoro- di un brano come Caesar (immaginate una collisione tra la vena psichewave degli Swervedriver e l’attitudine post pop di Archer Prewitt). Colpisce più che positivamente insomma la disinvoltura con cui i Kech sembrano aver metabolizzato i linguaggi che furono di Sonic Youth e Dinosaur Jr così come di Come e Blake Babies, Raincoats e Sugar e siano in grado di riutilizzarli in maniera del tutto convincente e personale riuscendo a farli stridere esplosivamente con il presente. Le dissonanze chitarristiche riescono infatti miracolosamente ad aver ancora qualcosa da dire per il loro piglio non ‘invasivo’, l’irruenza punk è sempre drenata e al servizio di un solido songwriting che dona struttura e personalità ai brani senza togliere il piacere dell’indolenza melodica. Sorprendentemente sobrio poi anche il cantato in inglese e la voce di Giovanna Garlati che sa ben snodarsi e districarsi tra spontaneità pop (dagli echi di un’Elizabeth Elmore dei Reputation in Recording My Thoughts) e disincanto noisedelico (a una Laetitia Sadier filtrata con Edie Brickell in diversi altri casi).
Concludendo (altrimenti finirei per essere tedioso quanto poco credibile con gli elogi) si può solo aggiungere che per chi sempre e dovunque quando si tratta di acquistare un disco boccheggia smarrito dietro a quelle rassicuranti bricioline trova-percorsi chiamate (ahimè) ‘credenziali’, queste ultime in “Are You Safe?” erano implicite fin dall’inizio: il marchio Under My Bed è uno dei pochi ancora in grado di farmi drizzare le orecchie in ambito indie (quello vero, non l’altro) e che il nome di Giuseppe Ielasi (di certo familiare per i nostri lettori) dietro alla consolle evoca di per sé un notevole grado di professionalità e intuito qualitativo di cui ci rallegriamo anche in questo caso.
Ci rallegreremmo di più se anche il pubblico italiota la smettesse di correre dietro ai gruppi da copertina e rovistasse un po’ di più in quello che una volta chiamavamo ‘underground’, ma se state leggendo Kathodik probabilmente non siete voi i destinatari di queste ultime parole.
A voi dico solo in maniera del tutto sobria: buon ascolto, avete trovato un ottimo disco.

Voto: 10

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