(PSF Records 2002)
‘To start with let’s remove the color’, già perché qui di colore ce n’è veramente poco, dato che tutto è immerso nel nero più profondo. Nero come i vestiti e gli inseparabili occhiali da sole che caratterizzano l’entità Keiji Haino. E’ alquanto difficile capire le movenze di quest’uomo e poco è dato sapere delle ossessioni che lo agitano, troppo grande l’abisso tra il suo mondo e le nostre povere certezze da occidentali d’inizio millennio. Una visione talmente personale, sia pure nella molteplicità di forme che si sono susseguite, da lasciare basiti. Le devastazioni noise-rock dei Fushitsusha, le sperimentazioni con l’hurdy-gurdy di opere come 21st century hard-y-guide man, il primordiale canto tribale di Tenshi No Gijinka, solo per citare frammenti della sua sterminata produzione, sino ad arrivare a quest’ultimo immenso affresco in tinte fosche del dolore. Spegnere ogni luce, anche quella della ragione, e trovarsi faccia a faccia con le proprie angosce e paure, trasportati dal carro funebre della voce e chitarra di Haino. Non è necessariamente un bel viaggio ma vale pena intraprenderlo, percorrere tutti i gradini della sofferenza per cercare la salvezza personale alla fine del percorso: …the closer you get, the more you become someone else avverte la seconda canzone. Scarne, esangui note di chitarra caratterizzano l’intero lavoro, sorta di raffinati spettri bluesy che danzano attorno alla voce di Haino come falene nella notte. Già, la voce, quella voce…Spogliata di ogni ego diventa puro lamento, quasi immateriale nella delicatezza del suo manifestarsi. Urlare in silenzio, piangere con compostezza. Costantemente alto il livello dei brani ma due in particolare quelli che mi perseguitano maggiormente: Will it fall? inizia come una preghiera estatica per poi alternare brevi silenzi ad un’ammaliante motivo di chitarra su cui il canto diventa meditazione interrogativa, mentre How did you know ? è una lunghissima (27 minuti) processione in lacrime su cui le improvvisazioni chitarristiche risplendono di cristallina bellezza. Magnifico il titolo della traccia strumentale conclusiva What shall we remove next?, quasi un promemoria a cercare la definitiva rappresentazione in musica dell’irrapresentabile: il ma, quel concetto filosofico orientale tanto caro al nostro del vuoto/nulla che diventa tavolozza per il materiale. Se non avete paura del buio dedicate del tempo a questo disco, non recentissimo ma prezioso.
Voto: 9
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