David Borgo ‘Massanetta Springs’

(Circumvention-2003)

La seconda prova a proprio nome per il sassofonista californiano David Borgo, dopo il “With and Against” del 1999 su Resurgent Music, vede la luce per l’etichetta Circumvention del sassofonista Jason Robinson, fucina espressiva tra le più versatili in ambito non solo jazz ma in quello della musica improvvisativa in generale. Il disco in questione diviene palese testimonianza della ferma volontà del patron della label di “guardare prima alla musica” proprio per il suo collocarsi in posizione di retroguardia sul piano dell’innovazione stilistica ma sicuramente in pole position su quello dell’intensità comunicativa e del trasporto emotivo.
Risultato delle sessions intrattenute dal nostro nel giugno 2002 con un ensemble di tutto rispetto (figurano, non certo nelle vesti di semplici comprimari, nomi come John D’earth, Mark e Alan Ferber, Sam Wilson, Peter Spar, David Pope e Roberto Miranda), “Massanetta Springs” è un susseguirsi di configurazioni ricombinanti di almeno un ventennio di jazz (quello che va dal 1940 al 1960 per intenderci) sia a livello di sonorità che di intercambiabilità orchestrali dato che miscela stupendi momenti di sax solista (come quello dell’omonima Massanetta Srpings in apertura) a duetti o arrangiamenti per sestetto. In ognuna delle combinazioni Borgo ha comunque una capacità sopraffina di ipnotizzare l’ascoltatore e imprigionarlo nel vortice della sua morbida umoralità: dagli ammiccamenti e gli spezzettati fraseggi retrò alla Coleman Hawkins allo scatto inventivo dell’immancabile “bird” in brani come Only in My Dreams fino all’approdo inevitabile sulle rive sia del Coltrane ‘arrabbiato’(provare Oddity per credere ) sia di quello più ‘metafisico’ (sempre Oddity ma le parti ‘statiche’ stavolta). L’ascolto del disco scivola leziosamente per i suoi circa sessantuno minuti senza mai una caduta di tono pur negli spiazzamenti acustici (che pure ci sono) e resta ad ogni modo incredibile come si possano accostare gli scenari vellutatamente sinistri di Conference of the Birds (di sicuro una delle autentiche perle dell’album) con gli swinganti intermezzi della successiva Pomodori. Così come resta inspiegabile/ato il mantenimento di un legame col presente che non riduce mai il suono del disco a pura riproposizione nostalgica.
Forse è solo l’ “anima” (e dio-solo-sa quanto sia poco incline ad usare codesta parola) del nostro che non cede mai neanche per un solo secondo al virtuosismo, prova ne sia che la languidezza non sfocia mai in sentimentalismo (vedi le divagazioni al ralenti in Heron Pool o le dorate atmosfere Bakeriane – ridondante citare il “duca“ tra i riferimenti- in Duke Ellington’s Sound of Love).
Dischi come non se ne facevano, appunto, da tempo. Dischi come se ne dovrebbero fare, appunto, da tempo.
Godibile nel vero senso della parola.

Voto: 8

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