Blur ‘Think Tank’

(Emi 2003)

Sofferto e attesissimo settimo album (dopo ben quattro anni dall’ultimo album) rimasto orfano, durante la gestazione, di uno dei suoi padri (Graham Coxon ha lasciato il gruppo dopo aver registrato negli studi di Londra la sua parte). Finito di produrre tra il Marocco e il Devon con la collaborazione di Fatboy Slim, del geniale produttore William Orbit (con loro già nella felice realizzazione di ‘13’, 1999) e del loro caro vecchio produttore/amico Stephen Street (’Modern Life is Rubbish’, ’Parklife’, ’The Great Escape’), scuoterà e confonderà nuovamente gli animi dei loro fans. L’hanno fatto di nuovo infatti. A partire da ’Blur’ (1998), hanno deciso di percorrere ogni volta strade musicali diverse e nuove mettendosi continuamente alla prova (e mettendo alla prova anche i fans) e anche questo album è una sorpresa e una svolta (e come aveva annunciato Cook, suona un po’ alla The Clash). Lasciate le sperimentazioni più spinte (il cupo, straziante e stupendo ’13’ si puo’ definire l’album in cui la chitarra di Coxon ha una parte principale), in questo album ( in cui invece prevale Damon Albarn e le sue esperienze soliste) c’è di tutto un po’ elettro-etno-dance-punk-pop ecc… E i vari generi e stili vengono mescolati come riflesso del melting pot culturale (melting pot sound?), evidente soprattutto a Londra che accoglie, rielabora, trasforma e crea di nuovo. Un miscuglio che al primo ascolto dà all’album un aspetto eterogeneo che spiazza e non si sa come prenderlo, come il pun (gioco di parole) del titolo. Invece è proprio questo il tratto che li distingue (evidente soprattutto nei primi Blur).

E si lasciano correre canzoncine come ’Moroccan People’s Revolutionary Bowls Club’ e ’Gene by Gene’ o la troppo melensa ’Battery in Your Leg’ o il canto alla Bryan Adams di ’Crazy Beat’, quando poi regalano pezzi come ’Caravan che ti culla con il suo ritmo esotico, o come il simpatico tormentone di ’Jets’, o l’irresistibile ’My White Noise’ (che inizia con un’autocitazione dell’ ’Ohi! di Parklife) e il funk di ’Brothers and Sisters’ (accattivante e geniale il modo in cui vengono cantate da Albarn) o la azzeccata melodia di ’On the Way to the Club’. Mentre pezzi come ’Out of Time’ (bellissimo il duetto chitarra e liuto su un ritmo latino americano), ’Good Song e Sweet Song danno libero sfogo alla vena più melodica e pop di Albarn. Forse è vero…sono un po’ arrugginiti visto che non suonavano più insieme da quattro anni…ma almeno loro non cadono nel vizio di ripetersi all’infinito.

Voto: 8

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Autore: fran_catalini@yahoo.co.uk