Debord ‘Höhle’

(Fridge Records/Self distribuzione 2002)

Ascoltando “Höhle”, ultima fatica del progetto milanese Debord, a chi scrive sono venuti in mente certi film italiani degli anni Settanta, come “Milano violenta” – no, nessuna associazione geografica – o il misconosciuto “Non si sevizia un paperino” di Lucio Fulci, pellicole che in generi diversi mettevano in scena le varie (dis)umanità di quegli anni (e di sempre) con nettezza, spietatamente. In particolare, sentendo la programmatica Rimorsi (registrata dal vivo) e ancor più la (in)umana, dolente Chi sei? ho immaginato la faccia livida e tormentata di John Steiner immersa nella periferia del capoluogo lombardo, destinata a dare volto ad uno squilibrato che rende tragica una rapina a causa della sua incontrollabilità nel film di Mario Caiano; mentre Legàmi o Detlef mi hanno ricordato la sofferenza e la follia che covavano sotto la maschera ambigua e rispettabile di Marc Porel nella crudele opera del regista romano.
Certamente le voci di Gianluigi Viscusi (autore anche delle storie narrate nei brani – tranne naturalmente che nella strumentale Io vi amo (la discesa), composta dal chitarrista Alberto de Angeli – non può, a giudizio di chi scrive, essere definito solamente “un cantante”; semmai, due o tre) e l’aggrovigliato impianto strumentale creato e garantito dal già citato Alberto De Angeli, dall’altro chitarrista Matteo Meneghelli (anche al sintetizzatore in Rimorsi), da Omar Boasso al sintetizzatore e ai campionatori e dal batterista Giulio Pardi, con l’apporto del bassista Floriano Bonfanti, mirano a creare contesti niente affatto rassicuranti, come in Mezzo e nella belluina Pamplona, mantenendo una buona originalità (si potrebbero fare i nomi dei Neurosis o dei Melvins, ma si tratterebbe di accostamenti abbastanza approssimativi) e soprattutto una credibilità “gotica” di sicuro spessore. Una nota di merito va alla curata veste grafica – le inquietanti tavole sono realizzate da Giuseppe Palumbo – e alle diverse modalità di “produzione” dei brani (per esempio, la “presa diretta” in Non ci sono più) che nelle intenzioni dei Debord devono disgregare la “decorosa omogeneità” dei brani e mettere in discussione la forma-canzone tradizionale.

Voto: 7

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