Apostole Of Hustle ‘Folkloristik Feel’

(Arts & Craft/Audioglobe 2004)

Quasi sicuramente in tempi recenti vi sarà capitato di imbattervi in recensioni entusiastiche dei canadesi Broken Social Scene e del loro album ‘You Forgot It In People’, gruppo i cui numerosissimi membri sono, chi più, chi meno, legati a diversi esponenti di quel movimento neoprog che ruota attorno ai Godspeed You! Black Emperor, ai loro figli e figliastri, e alla label Constellation. Fortunatamente i Broken Social Scene artisticamente non hanno nulla a che vedere con ciò, visto che il loro indie-pop scoppiettante ed immediato è esattamente agli antipodi delle prolissità strumentali (non mi si fraintenda, ho amato e amo quella roba) di molte di quelle musiche. Ora arrivano questi Apostle Of Hustle, progetto spin-off di Andrew Whiteman chitarrista dei Broken ad allungare ed ingarbugliare ulteriormente l’albero genealogico. Influenzato dalla recente permanenza di Andrew a casa di sua madrina all’Avana, con tutto quello che ne deriva in termini di infatuazione per la musica ispanica, in questo disco vengono in parte abbandonate quelle atmosfere un po Dinosaur Jr. (li hanno tirati in ballo in molti, ma andate ad ascoltarvi un brano come Cause Equally Time e capirete) un po Yo La Tengo che hanno fatto la fortuna di ‘You Forgot It In People’, a favore di canzoni dal sapore agrodolce che hanno il calore e il colore degli ultimi raggi di sole su una spiaggia al tramonto. Una collezione di brani impregnati di estro e sano disordine creativo, snocciolati come fossero gli appunti scarabocchiati su un diario spiegazzato. Crooning al chiaro di luna, gusto per arrangiamenti strumentali stravaganti, tipico di autori quali Howe Gelb e Mark Linkous, e passionalità caliente dell’esecuzione, rappresentano la linfa di cui si nutre ‘Folkloric Feel’. Esemplari in tal senso l’utilizzo delle percussioni, ora quasi tribali ora accatastate l’una sull’altra, e i cori femminili di Baby, You’re In Luck e Kings & Queens, le chitarre flamenco della ballata Animal Fat, l’armonica e i ritmi da festa zingara di Songs For Lorca (Andrew dice di aver voluto costruire con questo disco l’equivalente musicale delle opere del poeta, il che francamente mi pare un tantino pretenzioso, anche se la passione letteraria che emerge dai testi sembra genuina) e i fiati a sostegno della carica esuberante e gioiosa di Energy Of Death (“…in the rythm of this song, we drink, we fuck and we bring it on…”). Ma il disco offre anche altre piacevoli divagazioni: la strascicata Sleepwalking Ballad a dimostrare che il cordone ombelicale dal gruppo madre non è stato reciso del tutto, la progressione chitarristica della strumentale title track, che procede per continui crescendi e richiama le meraviglie rosso fuoco dei Calexico, per poi distendersi elegiaca sulle parole di “Everything is in place. It’s on”, le incursioni nell’elettronica low-fi su sussurri e ritmi traballanti di Gleaning. A chiudere il disco, prima di una brevissimo frammento ambient, They Shoot Horses Don’t They, che sembra provenire direttamente da alcune delle pagine migliori dei Giant Sand. Forse meno essenziali dei Broken Social Scene, ma comunque un disco notevole che cresce ascolto dopo ascolto.

Voto: 7

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